venerdì 19 settembre 2014

STILYAGI

"Oggi ballano al ritmo del jazz ma domani potrebbero vendere la nostra patria"
(Nikita Khrushchev, 1958) 




Russia 1950, gruppi di adolescenti mettono in atto una vera e propria rivolta stilistica che incarna anche uno scontro ideologico tra capitalismo e comunismo; i giovani russi, pur non esprimendo un'esplicita dissidenza politica, non credono che il comunismo abbia una morale e una cultura superiore, e allo stesso tempo si sentono fortemente attratti dalla cultura, dalla musica, il cinema e la moda americani.
La stampa li chiama Stilyagi, ovvero cacciatori di stile, fashion victims che, avendo avuto un assaggio dei costumi occidentali durante la guerra, sembrano voler ricordare che la macchina statale sovietica non possegga tutte le risposte in materia di stile.
Gli Stilyagi, così, iniziano a fare propri termini americani, spesso copiati dai film, nomi, che usano per ribattezzare se stessi o le vie delle città, usanze, sostituendo la vodka con i cocktail e ascoltando lo swing ed il rock&roll, e costumi.
Dal punto di vista del costume, i ragazzi indossano giacche dal taglio zootie, con spalle larghe e lunghe al ginocchio, pantaloni stretti a tubo, camicie colorate  col il colletto stretto da spille o maglioni fatti dalle ragazze che vogliono ricordare le felpe degli universitari anni '30, cravatte sottili, lunghe e dipinte a mano con disegni di cow-boys, donnine hawaiane e cactus, e scarpe stile creeper, rialzate con gomma acquistata al mercato nero; si fanno crescere i capelli lunghi e li ungono di grasso per farsi ciuffi a banana con un'onda sul collo e si dannano alla ricerca di bottoni a quattro fori (in Russia esistono solo quelli a due fori).
Le ragazze sfidano le puderie del Partito e l'ideale dell'eroina sovietica tutta casa e propaganda, indossando abiti attillati e dai colori vivaci, gonne lunghe al ginocchio e strette in vita o corte con spacchi che rivelano le giarrettiere, maglioncini aderenti e sandali alla romana d'estate; si truccano pesantemente e si acconciano i capelli alla maniera americana.
Entrambi si ingegnano nell'imitare i teenager americani attingendo a risorse improbabili ma necessarie, dato che vivono in una società in cui non esistono beni di consumo; masticano palline di paraffina per imitare gli introvabili chewing gum, disegnano a penna finte etichette americane da cucire agli abiti, dipingono quello che trovano o incollano sui capi ritagli di giornale e carta colorata per dare vivacità ai vestiti, tagliano tende e tappezzerie per rifarsi un guardaroba più moderno, insomma devono fabbricarsi da soli l'intero apparato scenico della loro rappresentazione.
Tra loro si chiamano "chuvak" e "chuvakha" (ragazzi e ragazze) e, solitamente, sono gli appartenenti alle famiglie più ricche dell'élite sovietica. Le autorità preferiscono deriderli per il loro look, piuttosto che reprimerlo socialmente, e non si tirano indietro nel punire qualsiasi manifestazione di ispirazione americana, distruggendo i loro vivaci vestiti o mettendoli in prigione, fino al 1960 quando l'URSS decide di non chiudersi più deliberatamente  all'influenza occidentale, ironia della sorte, proprio quando inizia il declino dello Stilyagi.



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