Africa


In Africa la tessitura nasce come conseguenza delle tecniche d'intreccio e, generalmente, spetta alla donna filare il cotone e la lana. Il fuso utilizzato è semplice e funzionale: un bastoncino reso stabile da un basamento di terracotta, usualmente abbellito da decorazioni. Sempre della donna è anche il compito di occuparsi di intrecciare le stuoie in fibra vegetale e di tessere la rafia sul telaio verticale.
Agli uomini spetta invece la tessitura del cotone e della lana, che avviene su telai orizzontali azionati a pedale o a cinghia. Si ottengono così strisce lunghe e strette (al massimo 20 centimetri) che vengono poi cucite insieme. Il tessuto può essere confezionato con uno o più fili di diverso colore.
La stoffa grezza ottenuta può essere lavorata con varie tecniche tradizionali. Se il disegno non è contenuto nella trama, la pezza viene dipinta con diversi procedimenti:
- le stoffe traforate yoruba.
- i tessuti kente a strisce degli Ashanti e degli Ewe.
- i bogolanfini o bogolan, panni “disegnati dal fango”, del Mali in Africa occidentale.
I tessuti yoruba sono realizzati con una vecchia tecnica di tintura su stoffe praticata dalle etnie Minlanka, Dogon, Bobo, Malinke, Senufo e Bambara, le quali hanno sviluppato un proprio stile estetico e di lavorazione. Tale tecnica viene usata soprattutto per confezionare gli abiti più importanti nella tradizione Yoruba e Edo, come quello indossato dalla coppia di sposi e dai loro genitori durante il rito del matrimonio tradizionale.
I tessuti kente degli Ashanti (Ghana centrale), vengono lavorati esclusivamente dagli uomini e presentano esclusivamente disegni geometrici. La vicina popolazione degli Ewe (Ghana orientale) realizza kente molto simili a quelli degli Ashanti ma si differenziano soprattutto perché vengono rappresentate principalmente figure antropomorfe. Bologan nell'Africa Occidentale vuol dire sfruttare l'azione corrosiva di alcuni elementi naturali per tingere con il fango: dopo aver tinto la stoffa grezza con il succo di una radice, si disegnano con del fango motivi decorativi, successivamente si espongono le parti di tessuto rimaste libere all'azione di un mordente, ottenendo così diverse sfumature di colore. Un procedimento simile al "Tingere con il fango" è quello identificato con il nome di batik, con la differenza che le zone di tessuto da salvaguardare nel colore originale, sono coperte di cera.
Un'altra tecnica è la Pintadera (tye and dye), diffusa nell'Africa Centrale, che prevede invece una serie di legature o cuciture del tessuto, in modo che alcune zone della pezza non risultino raggiungibili dalla tintura; vengono inoltre applicate pietruzze, cannucce ecc., con il compito di disegnare sulla stoffa motivi decorativi.


Il Kanga è il tessuto africano prodotto artigianalmente e lavorato quasi esclusivamente dalle donne la cui tradizione risale alla metà del XIX secolo.
E’ costituito da un rettangolo di cotone stampato, il cui disegno tradizionale è suddiviso in due parti: un bordo detto pindo (cuciture) e una parte centrale detta mji (città); all'interno del mji compare spesso una frase detta ujumbe o più semplicemente jina, che solitamente consiste in un proverbio o una frase benaugurale.
I kanga sono in genere indossati in coppia: un elemento viene utilizzato come gonna e l'altro avvolto intorno al busto; la coppia viene chiamata doti. I due pezzi vengono indossati sia dagli uomini che dalle donne e usati anche per avvolgere i neonati o come ornamenti delle abitazioni. Il ruolo del jina viene spesso sottovalutato dagli occidentali, lo considerano una decorazione più che un vero e proprio messaggio, ma nella cultura swahili, invece, si suppone che chi indossa un kanga sia ben consapevole del significato del suo jina e che intenda coscientemente comunicare quel particolare significato alle altre persone.
Il jina, costituisce solo la parte più esplicita del messaggio comunicato da un kanga; grande significato hanno anche le tipologie di figure stampate sul tessuto, che si tratti di animali, cosmologia, figure concrete o astratte. Tra gli animali per esempio, la lucertola è il simbolo della resurrezione, la salamandra del mistero, la tartaruga della saggezza e della furbizia, la gru dell'orgoglio, il ramarro dell'ingenuità, il ragno del destino dell'uomo, l'uccello del dono della parola. Altre figure importanti sono: il motivo lunare è simbolo della donna e della fecondità, il motivo solare a cerchi concentrici è simbolo della vita, la croce raffigura i punti cardinali e i percorsi della vita e della morte, il nodo è il simbolo d'unione, la noce di cola della fedeltà. Grande importanza in tutta la cultura africana ha la raffigurazione stilizzata dell'uomo associata al dorso della tartaruga, un'immagine che è diventata il simbolo dell'umanesimo africano.
Anche i diversi colori hanno tutti un significato molto preciso. Il colore di un kanga indossato da una donna, per esempio, può indicare che è pronta a sposarsi o divorziare o come a Zanzibar dove le spose nel giorno del matrimonio indossano un kanga decorato con colori rosso e nero. più in generale, la decorazione del kanga può indicare una varietà di condizioni e stati d'animo. Alcuni kanga svolgono di conseguenza un ruolo specifico in determinati momenti della vita sociale, familiare e politica delle popolazioni swahili.
Mentre le prime versioni prevedevano solo due colori ed il tessuto era venduto in sei pezzi quadrati, le versioni moderne sono multicolore e vendute in due pezzi identici, da tagliare e combinare insieme. Pure il disegno ha subito nel tempo una forte evoluzione; i primi kanga avevano un mji molto semplice, per esempio con una disposizione geometrica di cerchi. I pattern sono diventati via via più complessi e più colorati, e all'inizio del XX secolo si è cominciato ad aggiungere al disegno il jina, prima in arabo e poi sempre più frequentemente in swahili o comunque in lettere romane.
Il metodo di colorazione dei Kanga è dato dalla tecnica del Batik (amba –scrivere- e titik –punto/goccia). Si tratta di una tecnica di colorazione di tessuti molta antica e, con ogni probabilità, nata casualmente, che avviene per riserva ossia prevede che si creino dei disegni sul tessuto attraverso il contrasto tra zone colorate e zone prive di colore, le quali sono preventivamente coperte con materiali impermeabili. Le stoffe utilizzate sono stoffe sottili capaci di trattenere in modo adeguato i colori, il materiale più utilizzato è il cotone ma possono essere usati anche la seta o il lino.
E’ dalla tradizione del batik che deriva il famosissimo wax olandese basato sull’uso della cera fusa come sostanza impermeabile (wax=cera in inglese). Erroneamente a quanto si possa pensare, la tecnica del wax non proviene direttamente dall’Africa, bensì dall’isola di Java, in Indonesia, e venne industrializzata all’inizio del Novecento dall’industria olandese “Vlisco”.
Ci sono molte imitazioni del wax olandesi, come i real wax nigeriani, che sono più economici, o altri tessuti di qualità inferiore fabbricati in Gran Bretagna. Meno caro e pregiato del wax, ma di buona qualità, è lo java con cui vengono realizzati abiti da giorno e da città.
Le imitazioni del wax sono destinate a soddisfare le esigenze dei più poveri, ma per una donna avere un wax olandese è un segno di rispetto e di potere, anche se non ha un marito in grado di comprarglielo. Tra le tante versioni, il superwax viene  considerato il migliore e il più caro che, oltre ad essere il più venduto, viene riconosciuto immediatamente dalle clienti. Avere un vestito realizzato in questo materiale è il sogno di ogni donna africana, infatti, la misura del suo successo sociale verrà misurata dal numero di wax posseduti. Vestirsi con un wax olandese, possederne uno o solo averlo avuto è un tema ricorrente nei discorsi di molte donne africane, soprattutto in Africa occidentale e centrale perché il wax olandese è sinonimo di classe ed eleganza.
Nonostante la maggior produzione di kanga provenga dall’Olanda, a partire dagli anni cinquanta, però, diversi paesi africani (soprattutto Kenya e Tanzania) hanno intensificato la produzione locale. In Kenya, dopo l'indipendenza, il governo di Jomo Kenyatta incoraggiò la produzione tessile in generale, identificandola come un settore industriale strategico per lo sviluppo economico del paese, e di kanga e kitenge (simile al kanga ma di tessuto più spesso diffuso in Kenya, Uganda, Tanzania, Sudan, Nambia, Zambia, Malawi) in particolare, dato il valore simbolico di questi indumenti come rappresentativi dell'identità africana.
Le venditrici di wax olandese negli anni 60-70, sono state le prime donne a diventare milionarie. Spesso analfabete, si sono rivelate molto abili nel commercio internazionale, dalla Gran Bretagna alla Cina, dai Paesi Bassi alla Germania, dall’Austria alla Svizzera. Sono state le prime commercianti ad arrivare al mercato in Mercedes Benz, dando origine al loro soprannome “Mama Benz”, e le prime a investire nel settore immobiliare e a comprare appartamenti all’estero, perfino nei quartieri più alla moda delle capitali europee. Grazie al wax olandese, hanno costruito delle fortune colossali.
Il wax resta il tessuto più amato, anche se il bazin riche (cotone damascato) ricamato del Senegal e il bazin riche tinto del Mali sono dei concorrenti agguerriti. Un guardaroba non è completo senza vestiti in wax olandese. È un prodotto che continua a vendere, nonostante l’oscillazione delle monete, l’importazione di tessuti sintetici, l’invasione dei tessuti cinesi a buon mercato, dei veli svizzeri, dei ricami austriaci, dei bazin fasulli o dei tessuti provenienti dall’India. Nonostante la produzione di kanga sia generalemnte diminuita verso la fine del XX secolo, il wax olandese resiste a tutti gli attacchi e oggi è ancora il tessuto di riferimento, dall’abito indossato in ufficio al modello da cerimonia. A cinquant’anni dalle indipendenze africane, il wax simboleggia una delle eredità coloniali che hanno contribuito di più a cambiare le abitudini locali, favorendo l’adozione di un tessuto fatto per gli africani, ma non dagli africani.    

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