sono un'umanità di coleotteri, di marziani, o forse di angeli"
(Federico Fellini)
San Francisco, quartiere di Haight Asbury 1964, è qui che nasce la subcultura più creativa, eccentrica e radicale di tutti i tempi, che, portatrice sana di ottimismo e fiducia nell'umanità, professa pace, libertà, apertura totale al mondo, fratellanza, amore per la natura, uguaglianza. Sono gli hippy, i figli dei fiori che per circa un decennio, dal'64 al '74, con il loro abbigliamento etnico, i camioncini psichedelici e le manifestazioni pacifiche, hanno scombussolato il rigido e conservatore "American way of life" della East Coast prima e dell'America intera poi.
L'origine del termine Hippy non è ben chiaro poiché potrebbe rifarsi al termine "hipicat" che in lingua wolof (quella parlata dagli schiavi Senegalesi) indica una persona saggia; oppure derivare dal termine "hip" (fianco) usato dalla malavita inglese dell'800 e americana degli anni '20 per indicare quelli "del giro" che fumavano oppio, nel primo caso, e bevevano whiskey, nel secondo. I beatnik degli anni '50- '60 definivano hippie, o hippy, i pivelli e così i figli dei fiori, non apprezzando tale nome ed i suoi riferimenti, preferiscono chiamarsi "free", liberi, o "freak", mostri.
Tecnicamente gli hippy nascono come una sorta di agglomerato e sintesi di altre subculture, come i surfer, amanti della natura che rifiutano il consumismo, i folky, paladini del ritorno alla terra ed attivisti per i diritti civili, i mod, moderni sperimentatori di prodotti sintetici e futuristici ed i beatnik, esistenzialisti che rifiutano le tendenze sociali e la guerra.
Propagandavano un'etica fatta di libertà ed autoespressione attraverso la musica, la letteratura, il cinema, i fumetti, la grafica, le arti performative; erano sperimentatori di nuove pratiche e stili di vita, spesso provenienti dall'oriente, come lo yoga, la meditazione, il buddismo, il paganesimo, la medicina alternativa, il vegetarianismo, l'amore libero e l'uso di droghe psichedeliche, praticavano il nudismo dipingendosi il corpo con disegni di fiori o motivi psichedelici, e si muovevano per l'America a bordo di furgoncini coloratissimi dipinti da loro che chiamavano "Magic Bus".
Il loro look era sgargiante, con fantasie e colori audaci, capi in patchwork o dipinti a mano con la tecnica del tie-dye, che realizzavano da soli o acquistavano nei mercatini dell'usato, rifiutando i capi austeri e tristi delle boutique e che la moda imponeva. Indossano spesso capi unisex, come i jeans a campana, mantelli, caftani berberi, scialli di broccato, giacconi di montone, camicioni in stile medievale, vestaglie da concubina cinese e cappelli a tese larghe; vanno in giro scalzi o indossando sandali, mocassini indiani, scarpe da Aladino o stivali da cavallerizzo.
I ragazzi indossano giacche di divise militari vittoriane, con alamari e bottoni vistosi, o giacche sfrangiate o damascate con foulard paisley, gilet pakistani, cinture navajo e anelli afgani. Le ragazze, rigorosamente senza reggiseno, indossano morbidi abiti in velluto o leggeri allo stile far west o flapper, gonnelloni etnici da nomadi afgane, capi rifiniti con merletti, ricami, toppe, boa rosa di struzzo e collanine e bracciali in legno e perline.
Entrambi portano i capelli lunghi e sciolti, tinti con l'henné o cotonati e spettinati, si truccano con il khol e curano molto il proprio corpo con diete equilibrate e lavandosi assiduamente e profumandosi di patchouli (a differenza dei beatnik, con cui venivano associati, che non erano soliti lavarsi).
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