In India la tessitura è un'arte molto antica
capace di creare tessuti pregiati e ricercati in tutto il mondo; la seta e il
cotone, provenienti in modo particolare da Andhra e da Rajastana, sono senza
dubbio i materiali più utilizzati e prodotti, ma è molto ampia anche la
produzione di tessuti in juta e canapa. Il prestigio dei tessuti indiani non
deriva tanto dalla qualità dei materiali quanto dalle meravigliose decorazioni
che essi possiedono, infatti oltre ad essere finemente decorati, sono anche arricchiti
con oro, argento, perle, perline, pietre e specchi.
Le numerose tecniche di decorazione e di
lavorazione dei tessuti sono complesse e necessitano tutte quante di molta
esperienza.
La tecnica zari è un tipo di
lavorazione che utilizza un ordito in fili metallici sia d'oro sia d'argento, i
cui broccati di seta sono famosi in tutto il mondo; i suoi centri più
importanti di produzione sono Varanasi, Mathura e Vrindaban.
La tecnica jamdani è una tecnica di
lavorazione che utilizza filati di differente tipologia sino a creare una sorta
di mussolina con decorazioni geometriche e soprattutto floreali, come rose,
jasmine e fiori di loto; i centri più importanti sono Varanasi e Tanda situata
nel distretto di Fyzabad.
La tecnica zardosi è una tecnica di
ricamo grazie alla quale i tessuti vengono impreziositi da oro, argento e pietre
preziose, risultando così essere tra i più costosi sia per i materiali preziosi
utilizzati sia per la difficoltà di tipologia di ricamo; è un tipo di tecnica
molto diffusa e praticata in tutta l'India settentrionale.
La tecnica chikankari è una tecnica di
decorazione delle stoffe molto particolare il cui centro più importante è
Lucknow. Secondo questa tecnica, il motivo viene stampato con colori non
permanenti sul tessuto utilizzando dei blocchi di legno, sopra al motivo così stampato
si procede a ricamare; il ricamo viene fatto con diverse tipologie di punto e
solitamente questo lavoro viene svolto da più persone in quanto ognuna è
esperta in un punto soltanto. Il tessuto poi viene lavato per eliminare le
tracce del disegno.
La tecnica kalamkari è infine una
tecnica di pittura, che può essere fatta sia sui tessuti in seta che su quelli
in cotone e prevede l'utilizzo di una penna di bambù chiamata kalam; le
tinture utilizzate sono sempre tinture naturali e in questo caso la maggior
parte dei disegni è d'ispirazione religiosa, mitologica o culturale.
La sari è il tradizionale indumento femminile del subcontinente indiano, le cui origini risalgono al 100
a.C., ed è indubbiamente
uno dei pochissimi indumenti ad essere stati tramandati per così tanti secoli.
Essa consiste in una fascia di tessuto larga circa un metro e lunga da cinque a otto
metri che termina con il pallu, il
lembo decorato che pende dalla spalla sulla schiena. Il pallu ha, all'occorrenza, funzione
anche di velo per coprirsi il capo entrando in un tempio e il
volto di fronte ad estranei.
Il termine sari in india
è un nome di genere femminile e che deriva dal sanscrito chaira, pezza
di tessuto indossabile, per cui la sari identifica la possibilità di ogni donna
di drappeggiarla come meglio crede, secondo la taglia, il mese di gravidanza, o
la moda del momento, e derivanti dalle tradizoni regionali, di caste e tribù
tramandate nei secoli. Oggi, quello che comunemente si definisce sari, è
in realtà indossato secondo il tipo di drappeggio nivi sari che in epoca antica non si conosceva, ed il cui
uso divenne popolare a partire dal XIX° secolo.
Una sari può essere di
cotone, di seta o in tessuto sintetico, a tinta unita, stampato, in broccato o
ricamato. I colori dei sari sono sempre molto vivaci come l’ocra, il rosso, il
fucsia o il verde; sari bianchi sono invece indossati solitamente dalle vedove.
Assieme alla sari, viene
indossato anche il choli un corpetto
molto aderente, che aveva anche funzione di reggiseno, delle stesse nuance del
sari, e una sottogonna in cotone inamidato, utile per fissare le sette pieghe
di rito, della profondità di quattro dita, fissate poi in fine con una spilla
da balia.
All’uso della sari le
musulmane preferiscono il salvar kameez, della tradizone del punjabi, e con il velo si coprono la testa e
talvolta il viso. Nel nord est, nel deserto del Thar e nel Kuutch, in Gujarat, invece
mettono gonne ampie e leggere di cotone rosso, giallo e arancione e una
pettorina grigia e ricamata, fissata sul dorso da legacci e sulle braccia
braccialetti di osso o plastica. A Goa portano abiti al ginocchio, con maniche
a sbuffo. Nelle regioni Tibetane pettorine e copricapi ornati di coralli e
turchesi e per le occasioni eleganti, indossano lunghe gonne di voile ricamate
nello stile zardozi; il ventre è quasi sempre scoperto ed è ornato con un
gioiello all’ombelico.
I gioielli sono segno di
ricchezza, un patrimonio che ogni indiana porta con sé e che lascerà alle proprie
figlie.
L'abito indiano più
antico conosciuto è il dothi, un pezzo di stoffa rettangolare, cotone leggero, alto 1 mt
per circa 4, 50 mt di lunghezza; normalmente il dothi è bianco, con una sottile
bordura ed una semplice e geometrica decorazione finale, le cui abbondanti
pieghe sono rette in vita da una cintura e scendono fino ai piedi, come se fosse un pareo, lasciando sovente
scoperta la parte superiore del corpo. Oggi è largamente ancora usato
dagli uomini in tutto il Paese, con meno gioco di pieghe e senza cintura, ma
la maniera di indossarlo spesso indica anche la professione, la
casta e/o la provenienza della persona.
Nella
parte settentrionale dell'India, il dothi viene spesso indossato con il kurta, questa associazione di indumenti
viene comunemente chiamata dhoti kurta o dhuti panjabi nelle zone
orientali. Nel sud dell'India invece viene abbinato al angavastram, un
altro capo che viene indossato sulle spalle, o con il chokka o il jubba,
altri capi locali simili al kurta.
Il
lungi, invece, è un indumento simile
al dhoti, indossato nello stesso modo, ma soltanto in occasioni non formali;
questo non è lungo come il dhoti, ed è realizzato in materiale più leggero per
poter essere utilizzato in temperature particolarmente calde.
Fino
al XIV° secolo anche le donne indossavano il dothi e
solo posteriormente l'abbigliamento femminile cominciò ad evolversi e
differenziarsi fortemente da quello maschile. Lo scialle, che qualche volta
copriva le spalle, nei secoli si trasformò di fatto nella stabile parte superiore
della sari ed il numero di metri richiesto per la pezza così aumentò.
A
partire dal XVIII° secolo l'influenza britannica e poi l'epoca vittoriana,
fecero sì che il dothi venisse considerato indecente per le donne e in
molte caste si modificò il drappeggio per coprire il seno, anticamente
scoperto.
L'abbigliamento
classico dravidico (India meridionale) da cui ha origine la sari moderna, si
componeva di due parti: il veshti, dal sanscrito
“coprire - avvolgere”, per la parte
inferiore del corpo e che si indossava come per fissare un
asciugamano in vita, ed il mundanai,
uno scialle leggero, quasi un velo, con cui si copriva la parte superiore.
Quando le due pezze si unirono in una sola, le donne dovettero ovviare
all'inconveniente - sempre dal punto di vista vittoriano - che si creava
camminando: il pezzo inferiore tendeva infatti a sollevarsi lasciando
scoperte le gambe. Aumentando la lunghezza ed il numero delle pieghe si risolse
il problema, dando anche la possibilità di creare una grande varietà
di stili.
In
Kerala si è mantenuta invece la separazione delle due pezze, chiamate
localmente mundu, per quella avvolta attorno ai
fianchi, e neriathu, per la parte superiore; sono generalmente
entrambe in cotone leggero bianco o color crema e ornate con una banda
colorata al bordo, chiamata kara. Sono indossate sia da uomini e sia da
donne, per le quali vi è in aggiunta anche una blusa, solitamente verde per le
ragazze nubili e rossa per quelle già sposate.
Oggi
le fogge dei drappeggi comunemente impiegati si possono classificare
in 4 famiglie con molti
sottogruppi e numerose varianti: i dothi, i dravidici, i nivis
ed i tribali. Ogni stile necessita di una diversa lunghezza di tessuto
ed in ogni regione si tesse in ragione delle misure richieste in loco.
La
prima Sari viene donata alle ragazze al raggiungimento della pubertà, con una
cerimonia festosa che coinvolge famiglia ed amici. A casa o al lavoro le signore indossano sari di cotone o sintetici, e
se svolgono lavori pesanti o umili, fanno passare le pieghe frontali tra le
gambe e le infilano in vita dietro, trasformando così la sari in una
sorta di ampi bermuda. Nelle celebrazioni e ricorrenze, chi può,
sfoggia sari in seta prestando particolarmente attenzione alla
precisione del drappeggio, che è ciò che distingue un giorno comune da uno
solenne, fissando eventualmente le pieghe poste sulla spalla con
delle spille. Anche il colore o la stampa di una sari verrà scelto
accuratamente a seconda dello stato civile e dell'età della signora, per le
spose il rosso è il colore preferito, le tinte unite e i colori della terra
sono invece più adatti alle signore in età.
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