Il tessuto giapponese per
eccellenza è la seta (kinu). Originaria in realtà della Cina,
la seta giapponese, durante il corso degli anni, è riuscita a farsi strada nel
commercio fino a diventare la seta più pregiata e costosa al mondo. In
Giappone ne esistono molte tipologie differenti, derivanti da determinati
intrecci e metodologie di tessitura:
Hiraginu o kiginu è la seta senza una lavorazione particolare e ricercata.
Meisen: tecnica di lavorazione che consiste
nell'intreccio di fili precolorati, caratterizzata da un non allineamento
preciso dei fili, in modo da produrre una seta crespa con motivi morbidi e
dai colori brillanti.
Chirimen:
tecnica di intreccio che consiste nel torcere i fili durante la tessitura e che
da vita ad un tipo di tessuto opaco, robusto e dalla superficie leggermente
ruvida e crespa come i tessuti crèpe.
Omeshi: tecnica
di intreccio simile alla chirimen la cui seta ottenuta presenta una trama più
spessa e viene considerata qualitativamente migliore della precedente. Anche
questa tecnica usa fili precolorati.
Rinzu:
tecnica di lavorazione molto complessa che consiste nell'utilizzare diversi
tipi di filo in modo da creare un contrasto tra lo sfondo e la superficie,
aggiungendo luminosità e profondità alla stoffa; l’effetto ottenuto da tale
tecnica risulta essere simile al broccato o al damascato. E’ questa la
lavorazione che da vita ai tessuti più costosi, che vengono anche spesso
dipinti con la tecnica dello Shibori (tie-dye) o dello Yuzen (dipinto a mano).
Tzumugi:
tecnica di
lavorazione a mano che utilizza i filamenti di scarto dei bozzoli per creare
una seta dalla struttura irregolare ma molto resistente e morbida al tatto e
che, come mano, ricorda molto il cotone.
Donsu: tecnica di tessitura simile a rasato,
realizzata usando colori contrastanti per i fili dell'ordito e
tessendo in direzioni diverse. Il filo utilizzato viene tinto prima della
tessitura.
Habutae:
tecnica di tessitura che da vita ad una seta molto pregiata, morbida, lucida e
abbastanza spessa, simile al taffettà.
Ro: tecnica
di lavorazione che crea un tipo di seta molto leggera, fresa e traspirante. La
particolare traspirazione che ha si ottiene creando nel tessuto dei forellini
allargando la trama, a seconda di quanto si avvicinano o allontanano i fili
della trama infatti si possono ottenere dei forellini di maggiore o minore
ampiezza.
Sha: tecnica
di tessitura con la quale si ottiene una seta molto leggera e sottile che viene
tessuta con colori diversi, generalmente sfondo nero e motivi rossi.
Shantung:
tecnica di intreccio la cui seta è creata da fili, in trama e ordito,
di colori differenti che la rendono cangiante. E’ una seta luminosa e rigida,
dall’aspetto apparentemente grezzo, data l’irregolarità dello spessore dei fili
usati, ma molto pregiata.
Urushi:
tecnica di intreccio che utilizza dei fili
brillanti e laccati per formare dei disegni sulla seta; il processo consiste
nell'intrecciare la stoffa con questi fili, creando un effetto simile al
ricamo.
I
tessuti giapponesi vengono ulteriormente distinti in due categorie principali a
seconda della decorazione:
Somemono: si
tratta di tutti i tessuti la cui decorazione è tinta o dipinta. Le prime
tecniche di tintura dei tessuti si diffusero nel III secolo d.C. quando per
dipingere i tessuti si estraevano i coloranti dalle piante. Nel X secolo poi fu
scritto il libro "Engi Shiki", un volume, che fa ancora parte dei
libri sacri scintoisti, in cui furono raccolte 50 ricette dettagliate per
ottenere queste tinture per tessuti. In passato solo i membri delle classi sociali
più elevate potevano usare i tessuti somemono per i loro abiti, attualmente
invece tutti i kimono più formali sono di seta dipinta. I tessuti che vengono
dipinti sono: la seta rinzu, la seta chirimen, la seta habutae, la seta ro o
sha e la seta tsumungi.
Orimono: sono
i tessuti la cui decorazione è ottenuta tramite tessitura anziché tintura si
tratta quindi di tessuti meno formali. Questo metodo di lavorazione del tessuto
fu importato dalla Cina e dalla Corea intorno al IV e V ed ha subito una
continua evoluzione che ha portato alla tessitura di disegni sempre più
raffinati ed elaborati. Si decorano con tessitura i tessuti meno preziosi della
seta come lana, canapa e lino, ma talvolta anche seta meno pregiata ad esempio
la seta omeshi. Per la minore raffinatezza rispetto agli somemono, gli orimono
vengono usati per kimono meno formali.
La maggior parte dei fili
utilizzati in tessitura, sono per lo più precolorati tramite la tecnica di
colorazione kasuri. Nei casi in cui i fili non siano precolorati è
necessaro colorare e decorare la stoffa in un secondo momento sia a mano
libera, sumi-e, sia tramite tecniche specifiche di colorazione della
seta. Quali:
Yuzen: è una
delle più famose tecniche di tintura il cui nome deriva da un noto pittore di
ventagli, Yuzensai Miyasaki che utilizzò una gamma di colori più ampia e uno
stile più lineare rispetto ai pittori precedenti. Il disegno scelto va
riportato a mano sulla seta con un particolare inchiostro vegetale che non si
mescola con i colori. Poi si ripassano i contorni con un amido ottenuto tramite
la cottura del riso a vapore. Infine si colora il motivo con piccoli pennelli e si
fissa il colore, tramite vapore caldo, in adeguate stufe. L'amido và poi
nuovamente stesso sull'intero disegno, dopodiché si passa alla colorazione
dello sfondo che, grazie all'amido, non và sul disegno danneggiandolo.
Infine si fissa il tutto con ulteriore vapore caldo e si lava via l'amido sotto
acqua corrente. Con
questa tecnica si creano solitamente motivi naturalistici o astratti.
Shibori: metodo
di tintura di motivi su seta tramite legature, annodature, cuciture, piegature
o compressione di alcune
parti della stoffa in modo che, immergendo la stoffa nella tintura, quelle zone
non riescano ad assorbirla. I motivi che si ottengono con questa
tecnica sono piccolissimi e hanno i bordi morbidi.
Shimebata: processo
secondo cui, tramite un telaio rudimentale, dei fili di cotone legano quelli di
seta creando dei disegni su ciascuno di questi. I fili vengono poi immersi in
un liquido rosso, derivato dalla bollitura della corteccia rossa dell'albero di
teichigi, e successivamente immersi nel fango, e di nuovo nel liquido rosso
fino ad assumere una colorazione nera. I fili colorati vengono infine
intrecciati su un telaio molto più raffinato a formare il famoso disegno
kasuri.
Il furoshiki è un quadrato di stoffa che,
piegato e annodato, serve per contenere e trasportare oggetti, o per avvolgere
elegantemente dei regali.
Diffuso in Giappone, e non solo,
fin dal XII-XIV secolo con il nome di hirazutsumi, nel Periodo Muromachi
(1392-1573) torna in auge, come oggetto di uso quotidiano, per trasportare i vestiti nei sentō, bagni pubblici, come
tappetino per i piedi e come “separè” per dimarcare lo spazio in cui i nobili
si cambiavano prima di accedere ai bagni dei templi, prendendo così il nome
ufficiale di furoshiki (furo deriva dalla parola
"bagno" shiki deriva dal verbo "stendere").
Nell'era moderna è caduto relativamente in
disuso, venendo usato principalmente per avvolgere e trasportare gli oggetti in
generale o per impacchettare regali.
Il lato di questo fazzolettone
quadrato varia dai 45 cm per piccole cose fino a 230 cm per mettere via futon
invernali durante l'estate, come coperta o tovaglia. Per facilitare le
operazioni di annodamento spesso uno dei due lati è leggermente più lungo
dell'altro, senza però intaccare troppo la proporzione del quadrato.
La stoffa del furoshiki può essere
di cotone, seta e rayon e poliestere. Le stampe ed i colori utilizzati sono differenti
da uomo a donna; coloratissimo con
colori 'Edo' (marrone, nero, verdone) per gli uomini, e fantasie e colori
'Kyoto' per le donne; esistono anche nella versione double face con il
blasone della famiglia e/o delle scritte commemorative su basi a fantasia o a
tinta unita.
Il termine Origami indica l’arte di piegare la carta per dare vita ad oggetti,
animali, figure di fantasia, ecc... La parola deriva dal giapponese Oru
(piegare) e da Kami (carta). La parola Kami, con un ideogramma
diverso ma con la stessa pronuncia, vuol dire anche Spiriti, divinità: questa
sovrapposizione di significato lega inscindibilmente l’arte degli origami con
la spiritualità, con la ricerca del Divino e dona a questa tecnica una valenza
sacrale. Alla base dei principi che regolano l'origami, infatti, vi sono i
principi shintoisti del ciclo vitale e dell'accettazione della morte come parte
di un tutto: la forma di carta, nella sua complessità e fragilità, è simbolo
del tempio shintoista che viene ricostruito sempre uguale ogni vent'anni, e la
sua bellezza non risiede nel foglio di carta ma in ciò che si crea.
Il procedimento degli origami consiste nell'effettuare un
succedersi di pieghe diverse, per creare figure diverse,
da modelli semplici a modelli estremamente complicati. Numerose figure origami
partono da una forma di base, una figura piana realizzata sempre nello stesso
modo e da cui si sviluppa la variazione che porta alla figura completa. L'unico
materiale che serve per la realizzazione di un origami è la carta, da quella
per fotocopie, alla carta metallizzata, la carta velina, la carta di riso ecc…
Oggi tutti i modelli cominciano da un foglio quadrato, i cui
lati possono essere di colore differente, e continua senza fare tagli alla
carta, ma l'origami tradizionale era molto meno rigido e faceva frequente uso
di tagli, oltre a partire da basi non necessariamente quadrate.
L'arte di piegare la carta nasce in Cina nel I o II secolo d.C.
e raggiunge il Giappone nel VI secolo che ne fece, col tempo, una vera e propria
arte.
Le prime testimonianze dell’arte dell’origami, si hanno intorno all'epoca Muromachi (1392 – 1573) quando, guerrieri samurai si
scambiavano doni adornati con noshi (emblemi portafortuna) fatti di carta.
L'ingresso ufficiale dell'origami
nella cultura giapponese è però databile intorno al XI secolo, quando, durante
i rituali religiosi nei Templi Shintoisti, apparvero i primi go-hei
(strisce di carta bianca piegate a zig zag o in forme geometriche e,
unite ad un filo o ad una bacchetta di legno), utilizzati
per delimitare gli spazi sacri e come simbolo della
presenza delle divinità. Anche durante le cerimonie nuziali era usanza, e lo è
tutt'oggi, attaccare delle farfalle di carta alle coppe di sakè con le quali
gli sposi brindano alla felicità della loro unione. La carta, nata in Cina più
di 2000 anni fa e perfezionata dai giapponesi tramite l’uso del riso che la
rendeva più morbida e resistente, era da sempre considerata un materiale nobile
e la sua introduzione nella sfera religiosa ne consolidò il fascino e il
rispetto.
Oggi, uno degli origami
tradizionali giapponesi più noti, è sicuramente la figura della gru, simbolo di
immortalità. Ad essa sono legati molti miti e leggende, tra cui quella secondo
la quale chiunque pieghi mille gru vedrà i propri desideri esauditi. Realizzare
per sé o regalare mille gru, è diventata quindi una pratica molto diffusa.
Nessun commento:
Posta un commento